Statuetta di sfinge
AR 1487
Numero
Inventario
SCHEDA TECNICA
Luogo di rinvenimento:
presso il muro dell’ambiente 4 che prosegue in direzione ovest
Misure: h cm 3,9; l cm 9,1; L cm 2,7.
Materiale: calcare.
Descrizione: statuetta di androsfinge in calcare, con corpo leonino accovacciato e protome umana, posta su un plinto; la testa è mancante, ma si notano chiaramente le bande laterali e la chiusura sulla nuca del copricapo nemes.
Nella nostra statuetta, per quel che si può arguire dalla parte conservata, il modellato del nemes segue le caratteristiche delle sfingi tolemaiche: i sovrani lagidi, infatti, adottarono questa iconografia che univa l’aspetto della regalità alla divinità solare, e fecero realizzare statue e statuette con corpo leonino e volto del sovrano in carica, adornato con nemes e ureo. La sfinge regale agisce come tramite tra gli uomini e il divino, e questa statuetta potrebbe configurarsi come un’offerta per ottenere protezione tramite la mediazione del re divinizzato. La tipologia continuò, ad ogni modo, ad essere utilizzata per tutta l’epoca greco-romana, e non è sempre possibile specificarne la natura, se oggetto di culto, o ex voto, o semplicemente elemento ‘decorativo’.
Altre due statuette simili, integre, sono state rinvenute nel sito, e rimaste in Egitto secondo le regole di partage allora vigenti; le loro riproduzioni tra le fotografie della missione (vd. i provini a contatto a p. 108) ci assicurano l’iconografia dell’esemplare nella nostra collezione.
Confronti: Törok, Hellenistic and Roman Terracottas, pp. 97-98, nrr. 124-128 (Pl. LXIV-LXVI).
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Approfondimento Letterario
La figura della sfinge a corpo di leone e testa umana, accovacciata, con le zampe anteriori allungate e il copricapo regale nemes, ripete una iconografia canonica creata già nell’Antico Regno, il cui più celebre esemplare è naturalmente la grande sfinge eretta dal faraone della IV dinastia Khaefra (Chefren) a Giza, presso il complesso funerario della sua piramide. Le ipotesi più recenti sembrano orientarsi, tuttavia, su una riattribuzione a Khufu (Cheope). La sfinge incarna essenzialmente una simbologia solare, legata alla dea leonina Sekhmet, figlia del sole Ra, e capace di apportare distruzione come di proteggere. La sfinge egiziana non pone indovinelli, come nel mito greco di Edipo, ma è strettamente legata alla regalità: molti sovrani fanno realizzare sfingi con il proprio volto, o quello delle figlie, o sono raffigurati sotto forma di sfinge incedente che calpesta i nemici. Essa diventerà uno degli elementi egittizzanti più diffusi nel bacino del Mediterraneo: l’etimologia stessa di σφίγξ, non chiara in greco, e storicamente collegata al verbo σφίγγω, “strangolare”, in riferimento alla furia del leone, è per taluni un prestito dall’egiziano šps-ꜥnḫ, “statua/immagine vivente”, come era percepita la sfinge di Giza.
Questa creatura appare in numerosi contesti nell’Egitto tolemaico e romano. Si trova associata all’aspetto solare di Arpocrate (Horo fanciullo, vedi scheda…), ma è anche interpretata come figura guardiana, posta a protezione di tombe e stele, connettendosi dunque con l’ambito funerario. La nostra statuetta rappresenta il prototipo egiziano della sfinge; la sua versione greca, infatti, si distingue per una posizione differente (corpo accosciato di profilo, con testa e zampe anteriori girate frontalmente), per il corpo con seni ben delineati, e il volto femminile, spesso adornato di una acconciatura, o dello stesso nemes. Un’altra tipologia attestata in statuette in terracotta e pietra è quella della sfinge della mitologia greca, un demone in forma di uccello con volto e seni femminili, solitamente rappresentato seduto.
Del tutto diversa è invece l’iconografia, molto diffusa in età tarda e greco-romana, della sfinge incedente, rappresentata di profilo, con il volto frontale, e le zampe che calpestano un serpente: si tratta del dio Tutu, venerato, a partire dalla XXVI dinastia, in tutto l’Egitto, come protettore dai demoni della sfortuna e della malattia. La popolarità del dio nell'Egitto greco-romano è testimoniata da vari nomi teofori molto diffusi, come quello di Totoes.
Nella nostra statuetta, per quel che si può arguire dalla parte conservata, il modellato del copricapo nemes segue le caratteristiche delle sfingi tolemaiche: i sovrani lagidi, infatti, adottarono questo emblema che univa l’aspetto della regalità alla divinità solare, e fecero realizzare statue e statuette con corpo leonino e volto del sovrano in carica, adornato dal nemes e dall’ureo. La sfinge regale agisce come tramite tra gli uomini e il divino, e questa statuetta potrebbe configurarsi come un’offerta per ottenere la protezione divina tramite la mediazione del re divinizzato. La tipologia continuò, ad ogni modo, ad essere utilizzata in epoca greco-romana, e non è sempre possibile specificarne la natura, se oggetto di culto, o ex voto, o semplicemente “decorativo”.
Approfondimento Letterario Faraonico
Uno dei documenti più famosi che riguardano la sfinge è la cosiddetta “Stele del sogno”, ancora situata fra le zampe anteriori della grande sfinge della piana di Giza. Essa era originariamente parte di un piccolo santuario edificato dal sovrano di XVIII dinastia Thutmose IV nel suo primo anno di regno (1400 a.C. ca.). Nel Nuovo Regno, difatti, si assiste ad un particolare culto di questo monumento, già allora antico di più di un millennio, identificato come ipostasi del dio Horo dell’Orizzonte (Hor-em-akhet, in seguito grecizzato in Harmakis), e del dio Khepri, la forma del sole che appare all’alba.
Così recita la Stele del sogno:
"Thutmose era ancora un giovanetto, simile al piccolo Horo (…) si vedeva in lui dio in persona, i soldati erano felici di amarlo. (…) Ciò che faceva il suo piacere era distrarsi sull'altopiano desertico, tirare frecce contro un bersaglio di rame, cacciare il leone e la gazzella, correre sul suo carro, coi suoi cavalli più veloci del vento, con uno o un altro della sua scorta, all'insaputa di tutti. (…)
La statua colossale di Khepri è in questo luogo, grande di potenza e splendido di dignità, su cui cade un'ombra di Ra. I cittadini di Menfi e di tutte le città vicine vengono a lui, con le braccia alzate adorando il suo volto, carichi di grandi offerte per il suo ka.
Uno di questi giorni avvenne che il principe Thutmose era venuto a passeggiare, sull'ora di mezzodì. Si ristorò all'ombra di questo dio grande e un sonno di sogno si impadronì di lui nel momento in cui il sole è al suo culmine. La Maestà di questo dio gli parlò con la sua stessa bocca, come un padre parla al proprio figlio, dicendo: «Volgi gli occhi su di me, o figlio mio Thutmose! Io sono tuo padre Harmakhi-Khepri-Atum. Io ti concedo la mia regalità sulla terra, a capo dei viventi (…). Vedi lo stato in cui sono e come il mio corpo è dolorante, io che sono il signore dell'altopiano di Giza!
Avanza sopra di me la sabbia del deserto, quella su cui io sono: devo affrettarmi a far sì che tu realizzi ciò che è nel mio cuore, perché io so che tu sei mio figlio, il mio protettore. Avvicinati, ecco io sono con te, io sono la tua guida». Appena ebbe finito queste parole, il principe si svegliò perché aveva udito questo (discorso) (...). Riconobbe che erano parole di questo dio e tenne il silenzio nel suo cuore."
“Ciò che è nel cuore” del dio della sfinge è naturalmente, secondo Thutmose stesso, che egli fosse scelto per salire al trono: compiuta la richiesta della liberazione dalle sabbie, il principe divenne infatti re dell’Alto e Basso Egitto, e dedicò la stele come ringraziamento e memoria dell’incontro con la divinità.
Approfondimento Papirologico
Una citazione papirologica degna di nota riguardo a quest’essere mitologico si trova nel P.Würzb. 1, un commentario alla tragedia Le Fenicie di Euripide, compilato, secondo la critica, forse da un maestro di scuola o da uno studioso di livello medio; il documento è databile al VI sec. d.C. e la sua provenienza è probabilmente da Ermopoli. Ai vv. 1019-1026, il coro di Euripide descrive la sfinge che pose l’indovinello ad Edipo come “mostro alato (...) molto distruttrice, molto funesta, per metà vergine (...) coi tuoi artigli carnivori", il che potrebbe riferirsi sia alla forma con corpo di rapace e volto umano, sia alla versione di leone alato con testa femminile attestata in epoca classica. Lo scolio del P.Würzb. 1 spiega "è poiché la Sfinge ha metà (corpo) di vergine e l'altra metà di leone che ha la definizione di mostro distruttivo", mostrando dunque di visualizzare la creatura come prettamente leonina, forse suggestionato dai resti archeologici ancora visibili in Egitto.
BIBLIOGRAFIA
Sulla sfinge e le sue tipologie: Zivie-Coche, C., Sphinx, in Lexicon der Ägyptologie V, 1139-1147 (1984)
Sulle statuette in forma di sfinge: Törok, L., Hellenistic and Roman terracottas from Egypt, Roma 1995, n. 124-128
Sulla Stele del sogno: Porter-Moss III2, 36-37
Urk. IV 1539a-1544
Zivie-Coche, C., Giza au deuxième millénaire, cap. IV, doc. NE 14, Cairo 1976